In ricordo di
Marco Arosio
di Andrea A. Robiglio e Irene Zavattero
Caro Marco,
è
trascorso un anno dalla tua scomparsa.
Nel
corso di questi mesi, più volte, il nostro pensiero si è rivolto a te;
abbiamo fatto memoria dell’amicizia che ci legava, delle conversazioni
animate dai tuoi racconti sagaci e dalle tue riflessioni. Abbiamo
avvertito, improvvisa, la mancanza della tua cortesia; con essa, sono
venute meno anche la disponibilità, la vivacità e la serietà della tua
intelligenza. E fatichiamo a ritrovare in altri quel senso puntiglioso
del galateo scientifico che era in te un abito di lavoro naturale: “Si
pagano i debiti” dicevi “con gli interessi opportuni”. I nostri non
spenti ricordi hanno contribuito a mantenere acuto il dolore per la
tua scomparsa e ad accrescere il rammarico per gli studi da te
coltivati con intensità e passione, studi interrotti di colpo e troppo
presto, lasciando alcune promettenti ricerche incompiute o appena
abbozzate.
Noi
abbiamo anche conosciuto la tua fede cristiana robusta e profonda.
Essa è stata una forza maggiore che ha animato la tua operosità ed
ora, con il suo pallido riflesso, essa aiuta anche noi a tradurre in
tinte leni e parzialmente consolate i sentimenti altrimenti
insopportabili di assenza e nostalgia. Nei nostri cuori, Marco,
conserveremo il calore della tua gentilezza e della tua amicizia.
Vorremmo però che, anche a chi non ti ha frequentato in vita fosse
noto e rimanesse vivo il ricordo di te come studioso scrupoloso di
storia della filosofia e teologia medievali e come insegnante
altamente consapevole della posta educativa, sempre e comunque in
gioco. Per questo ci permettiamo di pubblicare una stringata sintesi
della tua carriera scientifica con una bibliografia dei tuoi scritti,
di pubblicarla proprio sulle pagine di questo sito web che tu, spesso
fornendo suggerimenti preziosi, eri solito consultare.
Ciò
che trovi qui non raggiunge le proporzioni di un necrologio, né basta
a sostituirlo. Consideralo piuttosto, Marco caro, come un appunto
soltanto, un pro memoria simile a quelle brevi note che tu
prendevi in biblioteca, per poi aggiornarle alla prima occasione e
ragionarne in seguito, semmai, con noi tuoi colleghi. Tu stesso ci
confessasti, del resto, che alcune delle ore e giornate più belle le
avevi trascorse prendendo appunti tra le “imporrite salacche” della
Biblioteca Apostolica Vaticana ovvero tra quegli antichi codici dei
frati che avevi appreso a decifrare con occhio amorevole. Ricordiamo
il tuo volto sorridente, illuminato da quella che tu non avevi
reticenza a chiamare con il suo nome: “ricerca del vero” – così ci eri
apparso una sera a Roma, nell’abbraccio del colonnato del Bernini, al
termine di un lungo colloquio avuto con l’allora cardinale Joseph
Ratzinger intorno alla teologia della storia in Bonaventura da
Bagnoregio; tu spiegavi in che direzione si poteva integrare e
precisare quell’indagine del teologo tedesco, che tu consideravi, nel
suo genere, un capolavoro; ma non ci risulta che tu abbia poi messo
per iscritto quegli spunti pur così nuovi e stimolanti. Si scherzava
anche, con te, a lungo, perché le buone risate, chiacchierando, non
mancassero mai. “La filosofia non serve a niente…” – ti dicevamo,
canzonando noi stessi. Ma quello era uno dei pochi punti sui quali tu
non eri disposto a transigere, neppure per celia: “Certo, certo: la
filosofia che non si fa, a niente può servire!”.
Noi, redigendo questo appunto, ci confermiamo tuoi lettori; lettori
che hanno appreso dai tuoi lavori quello che non era possibile
apprendere da altri. E ciò perché, come capitò di dirti pochi mesi
prima della tua scomparsa, alcuni dei tuoi contributi sono stati
contributi indiscutibilmente originali. Continueremo a trarre profitto
dal tuo acume e dalle tue fatiche. E il tuo nome sarà pronto sulle
nostre labbra quando, a nostra volta, a noi toccherà introdurre altri
nel cantiere del mondo da te esplorato.
Andrea e Irene
10 aprile 2010
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Marco Arosio si è spento improvvisamente, all’età di 45 anni, il 10
aprile 2009 a Monza, nella casa natale dove si era recato per
trascorrere il periodo pasquale con i suoi familiari.
Marco viveva da alcuni anni a Roma dove conduceva le sue ricerche e
insegnava presso alcune università pontificie. Il suo ultimo incarico
lo ha visto professore di Storia della Teologia presso la
Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” - Seraphicum.
Marco si laureò cum laude in Filosofia presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano con una tesi dal titolo Sacra Scrittura e metodo della
scienza teologica: l’“intellectus fidei” in Bonaventura
da Bagnoregio. La tesi, che ebbe Alessandro Ghisalberti come
relatore, conta di tre volumi per un totale di quasi 2000 pagine.
Nel
1997, nel quadro del dottorato di ricerca in filosofia (IX ciclo)
svolto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Arosio
conseguì il titolo di dottore di ricerca con una dissertazione,
condotta sempre sotto la direzione di Ghisalberti, su Aristotelismo
ed epistemologia teologica nei maestri della scuola francescana di
Parigi (da Alessandro di Hales a Bonaventura da Bagnoregio). Un
primo risultato di tale ricerca venne consegnato ad un ampio studio
apparso sulla Rivista “Doctor Seraphicus” nel 1994.
Successivamente, Arosio seguì vari corsi di specializzazione, in
particolare nell’A.A. 1992/93 frequentò la Scuola Superiore di
Studi Medievali e Francescani del Pontificio Ateneo “Antonianum”
(Roma) e, nell’A.A. 1993/94, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana,
il corso annuale organizzato dalla Fédération Internationale des
Instituts d’Études Médiévales (F.I.D.E.M.), conseguendo, al
termine dello stesso, il Mediaevalium Studiorum Diploma Europense
(Diploma Europeo in Studi Medioevali).
Oltre a partecipare a vari seminari di studio nell’ambito della storia
della filosofia e della storia medievali, talora in qualità di
relatore, Arosio è stato membro di varie società del settore: della
Société Internationale pour l’Étude de la Philosophie Médiévale
(S.I.E.P.M.), della Società Italiana per lo Studio del Pensiero
Medievale (S.I.S.P.M.), della Società Filosofica Italiana (S.F.I.) e
del Centro di Studi Bonaventuriani di Bagnoregio.
Nel 2001
Marco ha inoltre svolto, con dedizione e serietà, lunghi periodi di
insegnamento universitario presso varie Istituzioni, perlopiù non
allontanandosi dalla sua amata Roma.
In
particolare egli è stato titolare dei seguenti corsi:
1993/94 - Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo “Regina
Apostolorum” (Roma)
1. Agostinismo ed epistemologia teologica nella scuola francescana
di Parigi
2. Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino e Kant di fronte alla
prova dell’esistenza di Dio.
1994/95 - Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo “Regina
Apostolorum” (Roma)
1. La “philosophia” del XIII secolo: Aristotele nella Facoltà delle
Arti
2. Teoria delle Idee e protologia nella metafisica platonica
delle “dottrine non scritte”
3. Coordinatore generale del Dipartimento di Lessicografia
1998/99 - Facoltà di Teologia di Lugano
1. Sacra Scrittura e teologia in Bonaventura da Bagnoregio
2. Sacra Scrittura nell’“Itinerarium mentis in Deum”
2001/02 - Facoltà di Storia ecclesiastica della Pontificia Università
Gregoriana (Roma)
1. Papato ed Osservanza francescana
2001/02 - Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” (Roma)
1. La mariologia di San Bernardo
2002/03 - Facoltà di Filosofia e Teologia del Pontificio Ateneo S.
Anselmo (Roma)
1. Storia della teologia e dell’esegesi II.2. Il Medioevo
occidentale: i secoli XIII e XIV
2. Epistemologia teologica ed esegesi biblica nella scuola
francescana di Parigi (sec. XIII)
3. L’“Itinerarium mentis in Deum” di Bonaventura da Bagnoregio
4. Neoplatonismo e cristianesimo in Agostino
2002/03 - Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” (Roma)
1. La teologia come scienza nel secolo XIII: la mariologia di
Bonaventura da Bagnoregio
2003/04 - Facoltà di Filosofia e Teologia del Pontificio Ateneo S.
Anselmo (Roma)
1. La dimostrazione dell’esistenza di Dio in Tommaso d’Aquino
2. Pascal e l’ermeneutica giansenista di Agostino
2003/04 - Pontificia Facoltà Teologica “S. Bonaventura” (Roma)
1. La Sacra Scrittura in San Francesco e nella scuola francescana
del XIII secolo
2005/06 - Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” (Roma)
1. Storia della Teologia
2006/07 - Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” (Roma)
1. Storia della Teologia (Epoca patristica ed epoca
medioevale)
Negli anni 1998/2003 egli è stato Cultore della materia presso il
Dipartimento di Scienze Religiose dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano (aggregato alla cattedra del prof. P. Roberto Ferrari,
OFM).
L’intensa attività di insegnamento si è tradotta nella redazione di
dispense per gli studenti:
1. La mariologia di San Bernardo, Pontificia Facoltà Teologica
“Marianum”, Roma, 2002, pp. 81.
2. La Sacra Scrittura in San Francesco e nella scuola francescana
del XIII secolo, Pontificia Facoltà Teologica “S. Bonaventura”,
Roma, 2003, pp. 173.
3. Lineamenti di Storia della Teologia, Pontificia Facoltà
Teologica “Teresianum”, Roma, 2006, pp. 212.
4. Storia della teologia medioevale, Pontificia Facoltà
Teologica “San Bonaventura” - Seraphicum, Roma, 2007, pp. 213.
Tra
le sue collaborazioni editoriali, oltre a quella con il Centro Pio
Rajna, nel quadro della Edizione nazionale dei Commenti danteschi,
spicca il ruolo di Associate Editor presso la rivista
“Franciscan Studies” (St. Bonaventure, NY).
Qui
di seguito elenchiamo le principali pubblicazioni di Marco
Arosio:
-
Credibile ut intelligibile. Sapienza e ruolo del modus
ratiocinativus sive inquisitivus nell’epistemologia teologica del
Commento alle Sentenze di Bonaventura da Bagnoregio,
“Doctor Seraphicus”, 40-41 (1993-1994), pp. 175-236; estr.: La
Tipografia, Roma, 1994, pp. 64.
-
“Bartolomeo da Colle (1421-1484), predicatore dell’Osservanza
francescana e dantista minore”, in: AA. VV., Gli Ordini mendicanti
in Val d’Elsa, (Biblioteca della “Miscellanea Storica della
Valdelsa”, 15), Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino,
1999, pp. 73-189.
-
Enciclopedia della Filosofia e delle Scienze Umane, De
Agostini, Novara, 1996: voci “Alessandro di Hales” (p. 35ab),
“Amalrico di Bène” (p. 38b), “Berengario di Tours” (p. 101b),
“Bernardo di Tours” (p. 104a), “Domenico Gundisalvi” (p. 395a),
“Riccardo di S. Vittore” (p. 837a), “Scuola di S. Vittore” (p. 867a) e
“Ugo di S. Vittore” (p. 1033ab).
-
“Giacomo da Tresanti”, in: Dizionario Biografico degli Italiani,
vol. 54, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2000, pp.
237a-241a.
-
“Giovanni de’ Cauli” (ps.-Bonaventura), in: Dizionario Biografico
degli Italiani, vol. 55, Istituto della Enciclopedia Italiana,
Roma, 2000, pp. 768b-774a.
-
“Giovanni da Celano”, in: Dizionario Biografico degli Italiani,
vol. 55, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2000, pp.
774a-776a.
-
“Bartholomaeus Aromatarius”, in: C.A.L.M.A. (Compendium Auctorum
Latinorum Medii Aevi), fasc. I.6, Firenze, 2003, p. 689a
-
“Bartholomaeus de Colle, O.M. Obs.”, in: C.A.L.M.A. (Compendium
Auctorum Latinorum Medii Aevi), fasc. I.6, Firenze, 2003, pp.
722a-724b.
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A mo’ d’appendice e di clausola, ci
sia permesso riportare alcuni stralci di recensioni che, per le
sue ricerche, Marco si meritò. Il lettore potrà constatare
l’apprezzamento degli specialisti. Ma fa sorridere, nella recensione
di Mauro Tagliabue (2.c.), quel “promettente giovane” predicato di uno
studioso ormai maturo, sulla soglia dei quarant’anni!
1. [A proposito dell’articolo:
“Credibile ut intelligibile”.
Sapienza e ruolo del “modus ratiocinativus sive inquisitivus”
nell’epistemologia teologica del “Commento alle Sentenze” di
Bonaventura da Bagnoregio,
“Doctor Seraphicus”, 40-41 (1993-1994), pp. 175-236; estr.: La
Tipografia, Roma, 1994, pp. 64]
a. Dario Composta scrisse (“Doctor
Communis”, 48, 1995), f. 3, p. 306):
In questo estratto il lettore è
immesso nelle diverse interpretazioni della teologia del sec. XIII;
secondo l’A. la teologia di San Bonaventura era stata equiparata a
quella tomistica per via di quel concordismo che andò affermandosi
dopo l’enciclica “Aeterni Patris” di Leone XIII e che indusse il
curatore dell’“Opera omnia” Ignatius Jeiler (1882-1902) a tale
interpretazione. La sua revisione iniziò verso gli anni 1940
(Bougerol) e 1950 (Chenu) ma con conseguenze negative, poiché tale
revisione continuò il precedente “pregiudizio” (p. 11). La
storiografia tedesca di quel tempo si orientò in direzione diversa
(Dettloff, Klauck, Ratzinger) assumendo i dati di fede (Scrittura,
articoli di Fede) non già come assiomi suscettibili di elaborazione
dialettica, bensì come oggetto “credibile” accolto nella fede, e
giustificato all’interno della stessa fede attraverso i doni della
Grazia. La novità interpretativa ha trovato consensi e approfondimenti
in Italia (Corvino, Vian, Sileo, I. Biffì, ecc.) in America sett.
(Quinn, Tavard, Bérubé) e Belgio (Van Steenberghen), ecc. L’A. così
ritiene che Bonaventura è un “innovatore” che rompe i quadri
epistemologici della teologia legata ai canoni della “scientia”
aristotelica, per ritornare idealmente allo Pseudo-Dionigi e in
generale alla tradizione monastica del sec. XII. Nasce così una
teologia che accoglie nella fede attraverso la sapienza e
l’“intellectus” come doni dello Spirito Santo il “credibile”. Ma
l’adesione al “credibile” non avviene per un assenso razionale (“ratio
inferior” di Agostino), ma per adesione del cuore, della affettività
in una tensione esistenziale verso il mistero e la salvezza. Una
“ratio” teologica deve umiliarsi e lasciarsi afferrare dalla luce di
Dio in Cristo (“ratio superior”). E’ certamente legittimo l’uso di una
“ratio” che al di fuori del “credibile” difenda le “rationes
catholicae” dagli avversari; ma questa “ratio” non è teologica; manca
di certezza, di verità assoluta e appartiene all’opinabile delle
scuole teologiche p. 61): è una “ratio inferior”. La vera teologia è
dunque strettamente soggetta alla fede (“subalternata”) senza proporsi
di organizzare un sapere sistematico deduttivo ottenuto per via
dialettica dagli assiomi rivelati (p. 25 nota 67). L’A. ha affrontato
con minuziosa cura l’analisi dei testi; li ha criticamente vagliati
attraverso un filtro ineccepibile delle varie interpretazioni, come
risulta dalle fittissime note; anzi si ripromette altre conclusioni
(p. 10, nota 19). A suo merito dunque si deve riconoscere
l’approfondimento di una tesi solo abbozzata, ma ora - se non erro -
consolidata. Resta da sollevare alcune domande: una teologia
bonaventuriana così delineata non corre il rischio dell’ontologismo?
L’A. scarta questa possibilità (p. 21, nota 27), e a ragione; ma
allora non si cade almeno in una forma di fideismo in cui la stessa
ragione non ha nulla da dire, ma solo godere per la verità rivelata?
E’ vero affermare che la teologia bonaventuriana è sapienziale,
affettiva, saporosa, che non pretende scoprire novità ma che si
incammina verso la gloria (p. 26). Ma come si concilia questo statuto
epistemologico con il “progresso omogeneo” del dogma? E ancora: questa
teologia bonaventuriana non si trasforma in mistica? Forse a questi
interrogativi risponde meglio la teologia tomistica che non pretende
di “dimostrare”, ma di “manifestare” il “credibile”. Perciò un
raffronto tra i due Santi e Dottori e le rispettive teologie sarebbe
auspicabile in un eventuale saggio esplorativo.
b. Patrice Sicard
(“Bibliographie annuelle du Moyen Âge tardif”, 5, 1995, pp. 91-93) :
Le lien qu’établit le
Commentaire des Sentences entre le donné révélé dans l’Écriture et
le modus ratiocinativus sive inquisitivus permet de définir
l’intelligibilité de la foi chez B. et de caractériser son Commentaire
par rapport à la première phase de la production franciscaine. B.
est-il en continuité avec Alexandre de Halès, dans la ligne d’un
augustinisme repensé à travers Anselme et enrichi de la spéculation
victorine (J.G. Bougerol), ou a-t-il le premier défini la tâche propre
du théologien comme élaboration rationnelle de la foi? Dans ce
dernier cas l’Écriture a comme objet le credibile comme tel, la
théologìe l’intelligibilité du credibile, et le statut
théologique bonaventurien se réduit à la doctrine de la
subalternation. Des textes nouveaux, comme la question anonyme De
subjecto theologiae (ms. DOUAI, BM 434, t. I, f. 101ra), amènent à
reconsidérer la question. Le Commentaire des Sentences (L. I,
Q. 3, Proem.) et le Breviloquium (Prol. et c. 1)
identifient Scriptura sacra, doctrina sacra et
theologia; même équivalence chez A. de Halès. Le mot theologia
apparaît 2 fois dans le Prooemium, et 15 fois seulement dans
tout le Commentaire. Les Dons du Saint-Esprit rendent possible
une théologie, avec l’action simultanée de l’illumination infuse et de
la raison humaine, la foi donnant d’assentir, science et intelligence
d’intelliger ce qui est cru. Reçue dans la ratio superior,
cette illumination imprime en l’âme une imago recreationis et
opère la rectificatio de l’intellect. L’acte de l’illumination
divine s’étend à toute la durée de l’exercice de l’intelligence. Le
Commentaire n’offre pas de théorisation d’une autonomie totale de
la méthode de la théologie scientifique fondée, non sur le procédé
symbolique, mais sur le modus ratiocinativus. Le Prol. In I
Sent. ne fait que décrire dans une de ses réalisations la relation
entre l’opinio du Lombard et la sacra Scriptura. Ce
Prol. distinguant les fonctions de scriptor-compilator-commentator
et auctor (Q. 4), l’intelligibilité de la foi qui est celle de
l’auctor peut différer de celle de l’expositor. La
théologie de B. est une étape entre la foi (totius spiritualis
aedificii fundamentum) et la vision de la gloire: de ce fait son
statut est provisoire et progressif. La ratio veritatis
appartiene à la foi, la ratio auctoritatis à l’Écriture, la
théologie est un ajout (additio) au donné préliminaire de la
foi (Prol., Q. 1), et réalise la probatio fidei, au sens que
l’expression revêt dans la distinction entre le syllogisme dialectique
(qui engendre l’opinion) et le syllogisme démonstratif (qui engendre
la science). Ce qui est cru relève de l’autorité, ce qui est compris
de la raison; le terme ratio coïncide avec celui de
probabilitas; dès lors la ratio qui doit assurer
l’intelligibilité du credibile s’identifie avec les rationes
probantes fidem nostram. Sans l’illumination de la foi, l’activité
philosophique est sujette à l’erreur et le modus ratiocinativus
sive inquisitivus partage alors la condition de la philosophie
avant l’Incarnation (perscrutatio curiosa). III Sent. d.
XXIV, a. 2, q. 3 traite explicitement de la connaissance théologique:
elle autorise à parler pour B. d’une cognitio scientialis à
partir de la subdivision qu’il précise entre la connaissance intuitive
et totale (aperta comprehensio) et la connaissance discursive (manuductio
ratiocinationis). L’habitus de la foi qui recherche sa propre
intelligibilité consiste dans la contemplation intellectuelle et dans
l’affectus lui-même. Il convient de distinguer dans l’intellectus
fidelis: un habitus spéculatif, un habitus pratique et, les
incluant l’un et l’autre, un habitus affectif. La théologie de B. est
un habitus intermédiaire entre les connaissances speculative et
pratique. Les Prooemia de In I Sent. et In II Sent.
identifient la théologie non avec une connaissance scientifique (sermo
scientiae de I Cor. 12, 8) mais avec la sagesse (sermo
sapientiae). La connaissance scientifique de la portio inferior
de la raison n’a pas la certitude absolue de la sagesse dans la
portio superior. L’inquisitio théologique tend à susciter
la dimension affective. La lectio sententiaire de B. prend
comme base les articles de foi, d’où l’importance accordée à l’étude
du statut de l’article de foi, à la justification de sa pluralité.
Dans les trois aspects de la fonction cognoscitive (ratio,
intellectus, intelligentia), le passage de la foi à
l’intelligibilité est opéré par la raison, mais en un lieu où la
ratio laisse progressivement place à la clarté supérieure de l’intellectus.
2. [Sulla ricca monografia “Bartolomeo
da Colle (1421-1484), predicatore dell’Osservanza francescana e
dantista minore”, in: AA. VV., Gli Ordini mendicanti in Val d’Elsa,
(Biblioteca della “Miscellanea Storica della Valdelsa”, 15), Società
Storica della Valdelsa, Castelfiorentino, 1999, pp. 73-189 (Atti del
Convegno di studio Gli Ordini mendicanti in Val d’Elsa
organizzato dalla Società Storica della Valdelsa. Colle Val
d’Elsa, Teatro dei Varii; Poggibonsi, Convento di San Lucchese; San
Gimignano, Biblioteca Comunale, 6-8 giugno 1996)]
a. Ottaviano Giovanetti (“Studi
Francescani”, 98, 2001, pp. 413a-414b):
[…] M. Arosio riferì su Bartolomeo da
Colle (1421-1484) discepolo di S. Bernardino e di S. Giovanni da
Capestrano. Il Relatore guidò a ricomporre la sua biblioteca
manoscritta a S. Lucchese di Poggibonsi, passata negli anni turbolenti
1798-99, in parte al Convento di Aracoeli in Roma. Indicò cinque
manoscritti autografi (Tractatus de fide, Flores di S.
Agostino e tre codici contenenti la trascrizione e commento della
Divina Commedia), nella Biblioteca Vaticana; una raccolta di
Epistole nella Casanatense di Roma; una raccolta di Flores
di S. Cipriano e Gregorio Magno alla Riccardiana di Firenze; i
Flores di S. Gerolamo, trascritti nel 1469, alla Nazionale di
Firenze; un Tractatus de confessione alla Biblioteca
Universitaria di Bologna ed una copia alla Riccardiana di Firenze,
ecc. Successivamente lo studioso si occupò della vita del Colligiano.
[…]
b. Costanzo Cargnoni (“Collectanea
Franciscana”, 72, 2002, pp. 782-783):
Questo documentatissimo studio
bio-bibliografico del prof. M. Arosio sulla figura del predicatore
osservante Bartolomeo da Colle merita di essere segnalato come esempio
di revisione storica e critica delle notizie, abbastanza scarse,
finora note sul personaggio, trasmesse dai cronisti antichi
francescani, legate magari ad erronee interpretazioni dei documenti.
L’A. ha voluto così ricostruire l’intero percorso biografico su basi
sicure, cioè su una copiosa e puntuale analisi di documenti che
infittiscono direi in modo piuttosto eccessivo le note in calce
rendendo il testo del racconto molto più breve e chiaro. Infatti è
riuscito a ricostruire la biblioteca manoscritta in possesso di
Bartolomeo e ora distribuita tra Firenze e Roma. Si tratta di cinque
codici autografi (Tractatus de fide, i flores di s.
Agostino e tre codici della Divina Commedia con un breve
commento alla terza cantica) conservati nella Biblioteca Apostolica
Vaticana, e di altre due raccolte di testi autografi, una presso la
Riccardiana di Firenze (i flores di s. Cipriano e Gregorio M.)
e l’altra presso la Casanatense di Roma (una serie di quaderni di
argomento miscellaneo, tra cui la Legenda maior di s.
Bonaventura). A questi si aggiungono altri codici non autografi,
parziali o complete trascrizioni dai testi originali, e appunti
riferentesi alla sua predicazione tra il 1475 e 1478 e tre lettere
indirizzate a Lorenzo de’ Medici nel 1475 e 1478. Una ricerca che ha
frugato in molte biblioteche e archivi in Italia spingendosi fino a
Metz, Oxford e Parigi. Nato a Colle di Val d’Elsa nel 1421 da un’umile
famiglia (non dai nobili Lippi, come l’A. dimostra correggendo
l’errore di molti storici nato da un’interpolazione dei Bollandisti),
Bartolomeo entrò nell’Osservanza francescana nel 1440 e fu discepolo
di Bernardino da Siena e di Giovanni da Capestrano. La notizia di una
sua elezione nel 1446 a superiore del grande convento di Aracoeli
raccolta da cronisti francescani viene dimostrata inverosimile, poiché
egli veniva ordinato sacerdote nel 1448. Nominato nel 1455 nunzio
apostolico da Callisto III, si diede alla predicazione della crociata
contro i turchi per raccogliere finanziamenti, e divenne anche vicario
di Candia e di Terra Santa. Proseguì questa attività anche sotto Pio
II e Sisto IV. Oltre la predicazione della crociata Bartolomeo lottò,
nello stile itinerante dei grandi predicatori osservanti, contro
l’usura riuscendo a fondare nel 1463 un Monte di Pietà (“Monte di
Cristo”) a Orvieto, osteggiato dai domenicani, come in genere anche i
circa 153 Monti dei pegni creati dai francescani tra il 1462 e il
1515. Per conoscere i contenuti della sua predicazione (i suoi molti
quaresimali a Orvieto nel 1463, a Siena nel 1466, a Mantova nel 1470
ecc. sono andati dispersi) bisogna rifarsi ad altre fonti, come, in
particolare, al suo Tractatus de fide, composto con una serie
di sermoni tematici sul Simbolo apostolico e finito nel 1461. In esso
è possibile cogliere le fonti patristiche, ecclesiastiche e monastiche
usate, con riferimenti anche al poema dantesco. Un’altra testimonianza
della sua predicazione si trova in un manoscritto della Riccardiana di
Firenze, dove un ignoto estensore, presente alla predicazione in Santa
Croce, appuntò in breve una serie di prediche tenute a Firenze nel
periodo tra il 1467 e il 1502, dove si risente, oltre la sua lotta
contro l’usura, anche l’eco della polemica fra i domenicani tomisti e
i francescani scotisti. Gli ultimi anni della vita di Bartolomeo
trascorsero nel convento di S. Lucchese dove, tra l’altro, trascrisse
integralmente la Comedia di Dante e postillò un breve commento
alla cantica del Paradiso. Questo commento, variamente
stampato, venne pubblicato, per la prima volta, in appendice alla
famosa edizione dell’opera di Giovanni da Serravalle († 1445) nel 1891
sotto l’egida del pontefice Leone XIII, ed è in questa circostanza che
la fama di Bartolomeo come dantista minore si diffuse. La sua morte
avvenne probabilmente nel 1484. Uno studio biografico essenziale ed
esemplare, interessante per la miniera di notizie raccolte nelle
ridondanti note.
c. Mauro Tagliabue (“Nuova Rivista
Storica”, 86, 2002, pp. 237-238):
[…] Assai significativo, inoltre, per
la conoscenza di particolari esponenti del successivo movimento
osservante, l’apporto dell’ampio saggio che Marco Arosio ha dedicato a
Bartolomeo da Colle (1421-1484), predicatore dell’Osservanza
francescana e dantista minore (pp. 73-189). Avvalendosi di
un’estesa documentazione inedita, il promettente giovane
dell’Università cattolica di Milano ricostruisce in forma compiuta il
profilo biografico e culturale di questo predicatore osservante,
discepolo di san Bernardino da Siena e di san Giovanni da Capestrano,
predicatore della crociata contro i Turchi sotto i pontificati di
Callisto III, Pio II e Sisto IV, vicario provinciale di Candia e Terra
Santa, commissario e visitatore del convento del Monte Sion a
Gerusalemme, fondatore del monte di Pietà di Orvieto (1463). Di lui si
conservano, in diverse copie manoscritte, due trattati (De fide
e De confessione) e alcuni florilegi, espressione ad un tempo
della sua attività teologica e di un impegno agiografico reso
ulteriormente manifesto dalla trascrizione nel 1477 della trecentesca
Legenda beati Luchesii di Bartolomeo Tolomei (ms. Siena,
Biblioteca comunale degli Intronati, K.VII.37). Estensore peraltro di
tre lettere inviate a Lorenzo de’ Medici e amico personale di Bernardo
Rucellai, si distinse pure come trascrittore e postillatore della
Divina Commedia (Vat. lat. 7566-68). …
d. Raffaele Savigni (“Rivista di
Storia della Chiesa in Italia”, 56, 2002, pp. 526-527):
[…] Il lungo ed analitico contributo
di Marco Arosio (Bartolomeo da Colle (1421-1484) predicatore
dell’Osservanza francescana e dantista minore, p. 73-189), che si
presenta come una piccola monografia, ricostruisce la biografia del
frate (che, contrariamente ad una diffusa opinione, non proveniva
dalla famiglia di Lorenzo Lippi, umanista e poeta) e la sua attività
come nunzio apostolico incaricato di organizzare la crociata antiturca
e come promotore, in polemica con l’attività creditizia esercitata dai
gruppi ebraici, del Monte di Pietà di Orvieto. Se all’inizio del 1478
risale una lettera inviata a Lorenzo il Magnifico, la sua morte,
sopraggiunta nel convento di S. Lucchese di Poggibonsi, va collocata
dopo tale data, ma più probabilmente nel 1484. Lo studioso descrive
altresì la biblioteca manoscritta in possesso di Bartolomeo ed
analizza con dovizia di particolari (fornendo molte notizie utili per
la storia delle biblioteche e della circolazione dei manoscritti nel
‘400, e sottolineando l’importanza della biblioteca del convento
romano di S. Maria di Aracoeli per la diffusione del pensiero
dell’Osservanza) i suoi codici autografi (florilegi patristici,
trattati de fide e de confessione, e codici danteschi),
rifiutando con decisione (sulla base di un esame diretto della
grafia), per i manoscritti della Commedia, la proposta di
identificarne il copista con quel Bartolomeo Scala da Colle che
secondo Vespasiano de’ Bisticci avrebbe letto l’Etica
aristotelica a Cosimo de’ Medici (p. 164-168). Un manoscritto della
Riccardiana, che contiene abbozzi di reportationes compilati
(forse in tempi successivi) da un uditore di due prediche di
Bartolomeo in S. Croce (1474), consente di cogliere l’eco delle
polemiche dottrinali tra tomisti e scotisti sull’identità del corpo di
Cristo, e rivela l’intenzione di redigere, nei decenni che precedono
l’emergere dei moderni catechismi, un “libretto di dottrina cristiana”
(p. 144-146).
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